Manifestazione di Quarto del 5 maggio 1915 in cui D'Annunzio arringa la folla affinché si schieri per l'intervento armato nella Prima Guerra Mondiale

L’Italia, dall’Alleanza (Germania, Austria, Italia) all’Intesa (Francia, Inghilterra, Russia)

Nei convulsi mesi tra il 1914 ed il 1915 che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia, vi era una situazione politica abbastanza fluida che tuttavia mostrava una chiara tendenza al riallineamento sulle posizioni dell’Intesa.
Il primo ministro Salandra, in carica dal marzo 1914, ed il ministro degli Esteri Di San Giuliano avevano assunto una posizione cauta e piccata nei confronti di Germania ed Austria poiché le due potenze avevano informato il governo italiano dell’ultimatum alla Serbia solo il giorno dopo averlo consegnato – mettendo l’Italia davanti al fatto compiuto – e non ammettendo, contestualmente, che potesse esserci un’espansione territoriale austriaca nei Balcani, condizione che avrebbe fatto scattare gli automatismi previsti nelle clausole della Triplice Alleanza in virtù delle quali l’Italia avrebbe avuto diritto ad una compensazione territoriale.
Già a metà dell’agosto del 1914 cominciarono a farsi sentire le pressioni di Francia, Inghilterra e Russia per l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa in modo da accerchiare gli imperi centrali ed aprire un nuovo fronte a sud.

A settembre l’Italia formulò delle richieste a Francia e Russia in cui erano previste contropartite in caso di intervento a fianco dell’Intesa ma nel dicembre del 1914, con l’entrata in guerra della Turchia a fianco di Germania ed Austria, l’Italia cominciò nuovamente a dialogare con Berlino e Vienna, tuttavia non riuscendo ad ottenere alcun risultato soddisfacente.
Intanto nello stesso mese nacque la Banca Italiana di Sconto, sostenuta dalla finanza francese e legata a colossi siderurgici italiani, per contrastare la Banca Commerciale, schierata su posizioni neutraliste, che raccoglieva capitale tedesco ed orbitava attorno alla figura di Giolitti.
Nel 1915, negli ultimi giorni della stagione invernale, l’inizio della campagna di Gallipoli contro la Turchia, portata avanti da Francia e Inghilterra per tentare di forzare lo stretto dei Dardanelli, indusse l’Austria ad avanzare all’Italia la proposta di una cessione del Trentino ma Salandra e Sonnino – il quale dal novembre 1914 aveva sostituito Di San Giuliano al dicastero degli Esteri – alzarono la posta, chiaramente per far naufragare le trattative poiché l’Intesa sembrava procedere a grandi passi verso una vittoria che pareva imminente. Ormai il governo italiano aveva deciso di entrare in guerra accanto a Inghilterra, Francia e Russia. Si aveva la percezione di poter prendere parte ad una guerra che sembrava annunciarsi breve e prossima alla conclusione. Arrivarono inoltre le rassicurazioni del Capo di Stato Maggiore Luigi Cadorna che garantiva miglioramenti nell’Esercito Italiano per la fine della primavera del 1915.
Alla fine di aprile del 1915 l’Italia stipulò segretamente il Patto di Londra con cui si impegnava ad entrare in guerra entro un mese dalla stipula del trattato a fianco delle potenze dell’Intesa in cambio di consistenti contropartite territoriali. Il patto non fu firmato dagli Stati Uniti – che entreranno in guerra solo nel 1917 – e per questo, alla conferenza di Parigi del 1919-1920 che seguì la vittoria contro gli imperi centrali, il presidente degli Stati Uniti Wilson si opporrà all’attuazione dell’accordo provocando il risentimento italiano, che determinerà la percezione in Italia di aver conseguito una “vittoria mutilata” e perciò di aver subito un’ingiustizia ordita ai suoi danni dalle potenze occidentali.
Nel maggio del 1915 il primo ministro Salandra, constatando che vi era una consistente maggioranza di deputati che si opponeva all’entrata in guerra dell’Italia, rassegnò le dimissioni. Nelle consultazioni che seguirono, Giolitti manifestò a re Vittorio Emanuele III le sue titubanze rispetto alla prospettiva dell’entrata in guerra dell’Italia, sia perché la maggioranza dei deputati era neutralista, sia perché l’esercito era impreparato, tuttavia dopo aver appreso i particolari del Patto di Londra e dopo aver constatato che la decisione – in effetti – era già stata presa, ripartì per il Piemonte.
Le dimissioni di Salandra furono respinte da Vittorio Emanuele III ed il Parlamento, in seguito a minacce, sconforto e stanchezza, in un clima in cui – in quei giorni – gli interventisti venivano arringati a piazza Montecitorio da Gabriele D’Annunzio, il 20 maggio votò a favore della concessione dei pieni poteri al governo.

Gaetano Ferrara