Copertina del libro 'Moro, il caso non è chiudo. La verità non detta', di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni, pubblicato da Edizioni Lindau

Recensione del libro «Moro. Il caso non è chiuso. La verità non detta» di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni

La mattina del 16 marzo 1978 in via Fani a Roma, dopo aver massacrato la scorta, formata da Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, le Brigate Rosse prelevarono Aldo Moro dalla Fiat 130 sulla quale viaggiava e lo trasferirono in un nascondiglio imprecisato. Restò prigioniero dei brigatisti per cinquantacinque giorni – nella cosiddetta “prigione del popolo” – sino al 9 maggio 1978, quando il suo corpo venne ritrovato crivellato di colpi nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani.

Fiat 130 e Alfetta della scorta di Aldo Moro in via Fani dopo l'agguato

Indice dei paragrafi

Il memoriale Morucci-Faranda

Sino alle indagini della Commissione Moro 2, la versione “accettata” del rapimento e dell’uccisione dell’onorevole democristiano si era basata sul memoriale Morucci-Faranda, trasmesso all’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga il 13 marzo 1990. Il testo aveva costituito la narrazione ufficiale, fornendo un resoconto in qualche modo rassicurante di quelle vicende in quanto sembrava svelare il dietro le quinte, i particolari che all’epoca ancora non si conoscevano. Attraverso questo passaggio si pensava di poter archiviare definitivamente ciò che era accaduto per consegnare l’evento alla storia. Si realizzava in questo modo una sorta di pacificazione tra le istituzioni ed il terrorismo rosso, per tenere nascoste connivenze, strumentalizzazioni, depistaggi, influenze, condizionamenti da parte di Stati esteri e accordi segreti internazionali. Era convenuto a tutti che non si scandagliasse, che ogni cosa venisse messa a tacere. Erano stati troppi i soggetti coinvolti e interessati all’epilogo della vicenda e insostenibili le responsabilità da parte degli innumerevoli attori.

Commissioni bicamerali di inchiesta sul caso Moro

Per far luce sull’agguato e sulla prigionia del politico democristiano, con la legge n. 597 del 23 novembre 1979 fu istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia (conosciuta come Commissione Moro) i cui lavori si conclusero il 30 giugno 1983.

Sul caso Moro indagò anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (conosciuta come Commissione Stragi) istituita con la legge n. 172 del 17 maggio 1988 e sciolta il 29 maggio 2001.

La legge n. 82 del 30 maggio 2014 infine diede vita alla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (conosciuta come Commissione Moro 2), il secondo organo collegiale del Parlamento italiano costituito specificamente per indagare sul sequestro e l’uccisione dello statista democristiano. La commissione restò in carica sino alla fine della XVII legislatura, conclusasi il 22 marzo 2018.

La Commissione Moro 2

Fu proprio la Commissione Moro 2 presieduta dall’onorevole Giuseppe Fioroni a portare alla luce verità raccapriccianti, elementi che erano stati sottaciuti dalle precedenti indagini. Emersero entità che avevano agito come punto di contatto fra vari ambiti, tra gruppi criminali e servizi segreti italiani ed esteri, consorterie massoniche e terrorismo internazionale, lambendo istituzioni e partiti politici. Si aprirono filoni di indagine che furono percorsi per quanto possibile.

Il motivo per cui l’inchiesta poté procedere su un terreno tanto avanzato, che permise di acquisire inediti elementi indiziari e probatori, è probabilmente legato al mutato contesto geopolitico, alla distanza temporale intercorsa dalla caduta del Muro di Berlino. Sino a quando vi era stata la contrapposizione frontale tra regimi comunisti dell’Est e le democrazie liberali occidentali, le verità erano restate indicibili e le manovre sotterranee erano dovute rimanere nascoste. La priorità era rappresentata dalla necessità di conservare immutati gli equilibri definiti nella conferenza di Jalta del 1945 in cui erano stati decisi i destini di interi popoli e tracciate le sfere di influenza dei due schieramenti. Dopo venticinque anni dalla frantumazione del blocco monolitico del socialismo reale, tuttavia, si poté ricominciare a sussurrare ciò che non era stato detto.

Un’altra ragione per cui dal 2014 cominciarono a venire a galla brani di verità fu anche un mutamento nelle strutture di potere nazionali. Le organizzazioni che di nascosto minavano la salute della democrazia italiana – massoniche o afferenti ad ambienti della malavita organizzata – avevano perso forza, si erano dissolte o erano state disarticolate. Non sussistevano più interessi convergenti in grado di determinare la scelta di tenere tutto celato, per comune convenienza.

Il libro «Moro. Il caso non è chiuso. La verità non detta»

Il libro di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni parla proprio delle nuove e insospettate acquisizioni cui pervenne la Commissione Moro 2, le incongruenze rispetto alla ricostruzione ufficiale degli eventi fatta sino ad allora, gli scenari internazionali che furono tenuti nascosti o su cui non si era indagato sufficientemente, gli aspetti oscuri legati ai comunicati brigatisti ed agli scritti di Moro. Risulta angosciante la ricostruzione che viene fatta delle vicende, i dettagli che emergono, gli intrighi misteriosi, le coincidenze inquietanti.

Vengono inoltre resi noti i collegamenti tra gruppi armati rivoluzionari dei Paesi occidentali con il terrorismo palestinese, soprattutto con il FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) guidato da George Habash.

Vi sono elementi che contrastano con il racconto che di quei drammatici giorni aveva fatto il memoriale Morucci-Faranda. Sussistono indizi, ad esempio, per ritenere che in via Fani quella mattina del 16 marzo 1978 oltre alle Brigate Rosse fossero presenti anche terroristi tedeschi della RAF (Rote Armee Fraktion) e che un ruolo importante ebbero gli spazi adiacenti al bar Olivetti, che si trovava dall’altra parte della strada rispetto al punto in cui avvenne l’azione brigatista.

Sembra inoltre inverosimile che Aldo Moro fosse stato tenuto prigioniero in uno spazio angusto per cinquantacinque giorni, considerando che, al ritrovamento del corpo, il tono muscolare risultava pressoché intatto, l’igiene curata e il cadavere addirittura abbronzato. Appare anche improbabile che nello stretto box del garage di via Montalcini avessero potuto far entrare in retromarcia la Renault 4 e sollevare il portellone del cofano per far entrare lo statista democristiano e consumare l’omicidio.

Nel libro si ripercorre l’azione di contrasto al terrorismo intrapresa dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con la scoperta dei covi brigatisti grazie alle dichiarazioni dei primi pentiti delle Brigate Rosse. Si parla diffusamente delle carte di Moro, intorno alle quali si sono dipanate infinite trame. Dove era custodito il Memoriale Moro? Le carte che furono trovate, corrispondono a tutte le rivelazioni dello statista democristiano oppure vi sono ancora documenti tenuti nascosti? Quali erano i segreti inconfessabili che aveva svelato Aldo Moro durante gli interrogatori condotti da Mario Moretti che non potevano essere rivelati e scatenarono la corsa all’acquisizione di quelle trascrizioni, che si lasciò dietro una scia di morti?

Sono tutti interrogativi sui quali il libro tenta di far luce attraverso una ricostruzione delle vicende puntuale e scorrevole, seguendo le orme dell’inchiesta condotta dalla Commissione Moro 2, delineando lo scenario inconfessabile sul cui sfondo si muovevano i gruppi del partito armato, si articolavano i legami con servizi segreti di Paesi stranieri, le complicità internazionali come i tentativi di condizionamento da parte di ambienti occulti nostrani.

Gaetano Ferrara